La versione integrale dell'articolo, a firma dell'Avv. Elisabetta Marchesi, è stata pubblicata nella rivista mensile Ventiquattrore Avvocato - novembre 2007, Il Sole 24ore
Come è ormai noto la sentenza n. 170 del 18 aprile-17 maggio 2007, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 134, comma 1, del Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale) nelle parti in cui stabilisce che nei procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale, e in generale nelle materie di competenza delle Sezioni Specializzate in proprietà industriale e intellettuale, deve applicarsi il cosiddetto rito societario.
Nello specifico, la Consulta ha rilevato che l’art. 134, comma 1, del predetto decreto è costituzionalmente illegittimo, per “eccesso di delega” in quanto, a parere dei Giudici costituzionali, il Legislatore delegato ha esorbitato i limiti concessi nella legge delega (Legge 12 dicembre 2002, n. 273), promulgando una norma che implicava poteri che non gli erano stati assegnati dalla legge medesima. Inoltre, la Consulta ha chiaramente evidenziato che nessuno dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega autorizzava il Legislatore delegato a disporre l’applicazione di un rito diverso da quello ordinario per la disciplina processuale delle controversie attribuite alla cognizione delle Sezioni Specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale. Ciò, indipendentemente dal fatto che la ratio della legge delega fosse proprio quella di accelerare la conclusione delle cause in materia di proprietà industriale solitamente caratterizzate, quantomeno nella fase del giudizio di merito, da tempi processuali piuttosto dilatati.
La decisione della Corte Costituzionale arriva tutt’altro che inaspettata. Dall’introduzione del Codice di proprietà industriale moltissime sono state infatti le censure e le perplessità espresse soprattutto in dottrina e tra i c.d. “operatori del settore” nei confronti di varie norme del Codice medesimo ma, soprattutto, nei confronti dell’introduzione del rito societario per materie, quelle devolute alle Sezioni Specializzate, diverse da quelle per le quali il rito stesso era stato creato.
La sentenza n. 170, per certi versi auspicata, ha come conseguenza immediata, l’abrogazione automatica dell’art. 134, comma 1, c.p.i., conseguente alla pubblicazione della sentenza medesima.
Ciò che è importante rilevare è che le controversie in materia di diritto industriale continueranno comunque ad essere disciplinate dal Decreto Legislativo n. 168/2003, istitutivo delle Sezioni Specializzate, ma come meglio precisato infra, secondo il rito ordinario disciplinato dal codice di procedura civile.
Dalla data di pubblicazione della sentenza n. 170/2007 le controversie di competenza delle Sezioni Specializzate sono quindi disciplinate dal Decreto Legislativo n. 168/03 secondo però il rito ordinario caratterizzato dalla collegialità dell’organo giudicante. Le cause già decise con il rito abrogato rimangono efficaci, mentre non sono ancora chiare le modalità applicabili alle cause allo stato pendenti per procedere alla conversione dal rito societario al rito ordinario pur rimanendo comunque, validi tutti gli atti compiuti prima dell’intervenuta dichiarazione della illegittimità costituzionale.
Per questi processi sembrerebbe, ad avviso dei più recenti commentatori della sentenza della Consulta, necessario provvedere al cambiamento del rito a mezzo della procedura prevista dal comma sesto dell’art. 16 del Decreto Legislativo n. 5/2003 concernente i casi in cui il processo sia iniziato con il rito societario al di fuori dei casi in cui la legge ne prevedeva l’applicazione. Detta norma prevede che “il tribunale, se è competente, dispone con ordinanza il cambiamento del rito, designa il giudice istruttore e fissa l'udienza di trattazione; altrimenti rimette la causa con ordinanza al giudice competente, fissando un termine perentorio non superiore a novanta giorni per il deposito del ricorso in riassunzione. Restano ferme le decadenze già maturate”.
Detta norma sembra attribuire al Giudice, ed in particolare al Collegio, il potere di convertire ex officio il rito. Poiché però nel rito societario la causa si svolge senza la presenza del Giudice sino alla espressa richiesta della parti di fissazione della udienza di discussione, non è chiaro se in caso in cui le parti non vi provvedano, il Collegio, convocato a istanza di parte in pendenza di termine per replica assegnato a controparte, debba rilevare la propria irrituale convocazione. Inoltre, nel caso in cui il Presidente della Sezione Specializzata converta d’ufficio il rito, in assenza di una pronuncia del Collegio, potrebbe parimenti essere sollevato il problema della ritualità della conversione in quanto disposta in assenza di relativo provvedimento Collegiale.
In ogni caso, pare che il maggior problema conseguente alla conversione del rito ordinario, consista nell’eludibilità o meno delle preclusioni già maturate in corso del precedente giudizio societario. Ciò, a maggio ragione se nel rito societario si era già giunti ad uno status della causa tale per cui le parti erano gia decadute dalla possibilità di poter formulare nuove istanze istruttorie e produrre nuovi documenti. A tal proposito ci si pone il problema se il Giudice ordinario posa o meno integrare la fase istruttoria svoltasi nel rito societario assegnando alle parti nuovi termini ex art. 183 c.p.c. In ordine all’applicabilità dell’art. 16 del Decreto Legislativo n. 5/2003 ed alla problematica delle “decadenze già maturate”, Vi è da segnalare che i Magistrati, rappresentati le più autorevoli Sezioni Specializzate nazionali, hanno espresso opinioni discordanti. Secondo la maggior parte di questi, in assenza di un intervento del legislatore in materia, ciascuna Sezione Specializzata potrà procedere autonomamente secondo le indicazioni ed interpretazione dei rispettivi Presidenti. A tal riguardo si può registrare semplicemente la tendenza della magistratura a far ripartire la trattazione della causa dall’udienza ex art. 180 c.p.c. (per le cause ante riforma del rito ordinario), ovvero, dall’udienza ex at. 183 c.p.c. (per le cause del nuovo rito ordinario) considerando in quest’ultimo caso maturate le sole preclusioni legate a quanto non eccepito nella comparsa di risposta.
Una ultima considerazione si rende, infine, opportuna: si auspica che la sentenza della Corte Costituzionale n. 170/2007, così marcatamente censurante l’operato del Legislatore delegato, abbia almeno l’effetto per il futuro ridimensionare le velleità del Legislatore di intraprendere riforme frettolose quanto pindariche, ma soprattutto, poco permeabili alle esigenze pratiche e quotidiane degli operatori del settore costretti a confrontarsi quotidianamente con le problematiche create da una eccessiva e confusa successione di norme e riforme.
Come è ormai noto la sentenza n. 170 del 18 aprile-17 maggio 2007, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 134, comma 1, del Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale) nelle parti in cui stabilisce che nei procedimenti giudiziari in materia di proprietà industriale e di concorrenza sleale, e in generale nelle materie di competenza delle Sezioni Specializzate in proprietà industriale e intellettuale, deve applicarsi il cosiddetto rito societario.
Nello specifico, la Consulta ha rilevato che l’art. 134, comma 1, del predetto decreto è costituzionalmente illegittimo, per “eccesso di delega” in quanto, a parere dei Giudici costituzionali, il Legislatore delegato ha esorbitato i limiti concessi nella legge delega (Legge 12 dicembre 2002, n. 273), promulgando una norma che implicava poteri che non gli erano stati assegnati dalla legge medesima. Inoltre, la Consulta ha chiaramente evidenziato che nessuno dei principi e criteri direttivi contenuti nella legge delega autorizzava il Legislatore delegato a disporre l’applicazione di un rito diverso da quello ordinario per la disciplina processuale delle controversie attribuite alla cognizione delle Sezioni Specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale. Ciò, indipendentemente dal fatto che la ratio della legge delega fosse proprio quella di accelerare la conclusione delle cause in materia di proprietà industriale solitamente caratterizzate, quantomeno nella fase del giudizio di merito, da tempi processuali piuttosto dilatati.
La decisione della Corte Costituzionale arriva tutt’altro che inaspettata. Dall’introduzione del Codice di proprietà industriale moltissime sono state infatti le censure e le perplessità espresse soprattutto in dottrina e tra i c.d. “operatori del settore” nei confronti di varie norme del Codice medesimo ma, soprattutto, nei confronti dell’introduzione del rito societario per materie, quelle devolute alle Sezioni Specializzate, diverse da quelle per le quali il rito stesso era stato creato.
La sentenza n. 170, per certi versi auspicata, ha come conseguenza immediata, l’abrogazione automatica dell’art. 134, comma 1, c.p.i., conseguente alla pubblicazione della sentenza medesima.
Ciò che è importante rilevare è che le controversie in materia di diritto industriale continueranno comunque ad essere disciplinate dal Decreto Legislativo n. 168/2003, istitutivo delle Sezioni Specializzate, ma come meglio precisato infra, secondo il rito ordinario disciplinato dal codice di procedura civile.
Dalla data di pubblicazione della sentenza n. 170/2007 le controversie di competenza delle Sezioni Specializzate sono quindi disciplinate dal Decreto Legislativo n. 168/03 secondo però il rito ordinario caratterizzato dalla collegialità dell’organo giudicante. Le cause già decise con il rito abrogato rimangono efficaci, mentre non sono ancora chiare le modalità applicabili alle cause allo stato pendenti per procedere alla conversione dal rito societario al rito ordinario pur rimanendo comunque, validi tutti gli atti compiuti prima dell’intervenuta dichiarazione della illegittimità costituzionale.
Per questi processi sembrerebbe, ad avviso dei più recenti commentatori della sentenza della Consulta, necessario provvedere al cambiamento del rito a mezzo della procedura prevista dal comma sesto dell’art. 16 del Decreto Legislativo n. 5/2003 concernente i casi in cui il processo sia iniziato con il rito societario al di fuori dei casi in cui la legge ne prevedeva l’applicazione. Detta norma prevede che “il tribunale, se è competente, dispone con ordinanza il cambiamento del rito, designa il giudice istruttore e fissa l'udienza di trattazione; altrimenti rimette la causa con ordinanza al giudice competente, fissando un termine perentorio non superiore a novanta giorni per il deposito del ricorso in riassunzione. Restano ferme le decadenze già maturate”.
Detta norma sembra attribuire al Giudice, ed in particolare al Collegio, il potere di convertire ex officio il rito. Poiché però nel rito societario la causa si svolge senza la presenza del Giudice sino alla espressa richiesta della parti di fissazione della udienza di discussione, non è chiaro se in caso in cui le parti non vi provvedano, il Collegio, convocato a istanza di parte in pendenza di termine per replica assegnato a controparte, debba rilevare la propria irrituale convocazione. Inoltre, nel caso in cui il Presidente della Sezione Specializzata converta d’ufficio il rito, in assenza di una pronuncia del Collegio, potrebbe parimenti essere sollevato il problema della ritualità della conversione in quanto disposta in assenza di relativo provvedimento Collegiale.
In ogni caso, pare che il maggior problema conseguente alla conversione del rito ordinario, consista nell’eludibilità o meno delle preclusioni già maturate in corso del precedente giudizio societario. Ciò, a maggio ragione se nel rito societario si era già giunti ad uno status della causa tale per cui le parti erano gia decadute dalla possibilità di poter formulare nuove istanze istruttorie e produrre nuovi documenti. A tal proposito ci si pone il problema se il Giudice ordinario posa o meno integrare la fase istruttoria svoltasi nel rito societario assegnando alle parti nuovi termini ex art. 183 c.p.c. In ordine all’applicabilità dell’art. 16 del Decreto Legislativo n. 5/2003 ed alla problematica delle “decadenze già maturate”, Vi è da segnalare che i Magistrati, rappresentati le più autorevoli Sezioni Specializzate nazionali, hanno espresso opinioni discordanti. Secondo la maggior parte di questi, in assenza di un intervento del legislatore in materia, ciascuna Sezione Specializzata potrà procedere autonomamente secondo le indicazioni ed interpretazione dei rispettivi Presidenti. A tal riguardo si può registrare semplicemente la tendenza della magistratura a far ripartire la trattazione della causa dall’udienza ex art. 180 c.p.c. (per le cause ante riforma del rito ordinario), ovvero, dall’udienza ex at. 183 c.p.c. (per le cause del nuovo rito ordinario) considerando in quest’ultimo caso maturate le sole preclusioni legate a quanto non eccepito nella comparsa di risposta.
Una ultima considerazione si rende, infine, opportuna: si auspica che la sentenza della Corte Costituzionale n. 170/2007, così marcatamente censurante l’operato del Legislatore delegato, abbia almeno l’effetto per il futuro ridimensionare le velleità del Legislatore di intraprendere riforme frettolose quanto pindariche, ma soprattutto, poco permeabili alle esigenze pratiche e quotidiane degli operatori del settore costretti a confrontarsi quotidianamente con le problematiche create da una eccessiva e confusa successione di norme e riforme.
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