sabato 12 aprile 2008

Adidas: la corte di Giustizia Europea si esprime a proposito del caso delle strisce

Non esiste un monopolio per l’utilizzo di un segno comune in ambito commerciale ma, nello stesso tempo, bisogna porre estrema attenzione a tutelare i rischi di confusione da parte del consumatore. Questo è il sunto della Sentenza datata 10 aprile 2008 della Corte di Giustizia Europea intervenuta nella causa C ‑102/07, relativa alle note “strisce” identificative della multinazionale Adidas.
Adidas AG si era infatti rivolta ai Giudici olandesi “per impedire ad alcune catene di grandi magazzini, tra i quali il più noto H&M, di vendere articoli sportivi con due strisce verticali invece di tre”. Un utilizzo fuorviante per i consumatori. Per le aziende chiamate in questione l’impiego di due strisce, semplici decorazioni, non può essere appannaggio esclusivo di una singola azienda.
Rivoltisi alla Corte di Gustizia Europea, i Giudici olandesi hanno ricevuto dal Lussemburgo indicazioni circa il modo di procedere per risolvere la controversia e, se necessario, bloccare la produzione di articoli delle realtà citate da Adidas. Per la Corte di Giustizia Europea, basta che un buon numero di consumatori crei un collegamento tra segno e marchio protetto per far scattare il divieto di commercializzare
prodotti ingannevoli. Non è stato stabilito tuttavia il diritto all’esclusivo sfruttamento commerciale di un elemento comune come la striscia, soprattutto in settori produttivi diversi da quello sportivo. Una realtà che le Corti di Giustizia olandesi dovranno ora valutare.
In breve, la massima della sentenza: “La prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretata nel senso che non si può tener conto dell’imperativo di disponibilità all’atto della valutazione dell’estensione del diritto esclusivo del titolare d’un marchio, salvo nella misura in cui trova applicazione la limitazione degli effetti del marchio definita all’art. 6, n.1, lett. b), della detta Direttiva”.

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